ROCCO BRUNO E SENSO COMUNE - ALLA RICERCA DEL SEGNO PERDUTO





Un nuovo intervento a Senso Comunerubrica dedicata alla ricerca del senso perduto della comunicazione nell'odierna società in cui con  interviste a intellettuali, scrittori, filosofi, artisti e pensatori, si cerca di comprendere come e se sia possibile porre rimedio all'insostenibile inconsistenza del segno, delle parole, dei messaggi e delle immagini che ci circondano e ci bombardano quotidianamente.


Partecipa alla discussione Rocco Bruno studioso di antropologia, filosofia, scrittore e ideatore del Progetto Zion©, fondatore del Progetto Educativo promosso da Accademia della Pietra per una diversa antropologia sociale e comportamentale.

Ha scritto la trilogia "The matrix, una parabola moderna", "Dispiegare Pistis Sophia - Il Codice Askewianus" e "The Matrix - Essere Reale, Essere Reali" una ri-lettura della pellicola dei fratelli Wachowsky con la spiegazione dei significati occulti che i 3 film hanno.




1) Parole come "matrimonio", "padre e madre", "maschio", "femmina", "uomo", "donna", "sesso", "genere", "razza", "libertà", "vita", "morte", "diritto", "marito", "moglie", "amore", sono nella nostra società in una fase di metamorfosi, in cui il significante e il significato stanno perdendo il solido legame avuto in millenni di civiltà. E' d'accordo con questa affermazione? In tal caso, quali le conseguenze?

In realtà essere in accordo o meno dipende da quale punto storico stiamo guardiamo: da quale finestra temporale guardiamo o ci limitiamo a guardare.

Mi piacerebbe fare una premessa. Siamo convinti che l’umanità abbia inizio con il codice di Amurabi ma in realtà allora è iniziata soltanto la nostra attuale civiltà, con tutte le sue istituzioni e scopi, sviluppatisi fino ai giorni nostri. Si sono susseguite forme di governo, capi di governo, condottieri, imperatori; tutti hanno contribuito a modificare l’ambiente culturale originario e successivamente a creare un’organizzazione adeguata ai loro scopi. Lo sforzo che andrebbe fatto è quello di guardare all’intero arco della storia planetaria, la quale ha pure goduto di un periodo pacifico, in cui l’unico campo semantico, per così dire, era la vita.

Il significato di queste “parole” aveva un altro contenuto: la civiltà che si era allora sviluppata era in grado di poter garantire una qualità della vita (senza guerre, distruzione, violenza, abusi, oppressioni) superiore alle società patriarcali e tradizionaliste che noi circoscriviamo nel concetto di civiltà.
Pertanto se consideriamo il senso della “parola” alla luce dell’attuale civiltà se pensiamo ad una metamorfosi semantica facciamo del riduzionismo senza precedenti. È evidente che l’attuale civiltà manifesti tutte le sue fragilità strutturali, tra cui quella del significato, proprio nel momento in cui attraversa la sua crisi più profonda e in cui i cambiamenti sono non soltanto evidenti ma pure fuori controllo. Vengono a decadere, a mescolarsi e a disfarsi in una confusa Babele tutti i contenuti attribuiti alle parole. Ma i significanti spesso resistono e si spera possano essere riportati in qualsiasi momento, dopo un duro lavoro coscienziale, alla loro semantica “originaria”.

È questa la natura del decadimento al quale stiamo assistendo. Non fosse altro che noi diamo un’accezione sentimentale a qualcosa (ad esempio il matrimonio) che di fatto già molto tempo addietro - e parlo di millenni - aveva natura istituzionale e divergeva dalla funzione avuta presso le precedenti civiltà.
Alcuni termini sono mutuati da una concezione laica e altri da una concezione religiosa ma tutte queste concezioni derivano da un tentativo che si è prodotto soltanto negli ultimi 3000 anni di dare forma giuridica a qualcosa che in origine non l’aveva, cioè che nell’uomo originale non aveva forme né scopo. Vi è di fatto una divergenza tra valori (connaturati alla natura umana) e scopi (imposti anche in modo coercitivo). I primi hanno una natura completamente immateriale, spirituale - per quanto consistenti - e sono connaturati alla spinta dell’uomo verso l’evoluzione della coscienza; mentre gli scopi hanno una connotazione prettamente materiale e legati esclusivamente alla sopravvivenza della civiltà e del suo decadimento.

Nell’attuale paradigma se la parola “padre” definisce lo scopo di mantenere i figli e procurare le risorse materiali (identifichiamo i figli con cognomi che indicano la loro parentela col padre, quando l’ordine autentico è matrilineare), la parola “madre” ha lo scopo di metterli al mondo, i figli. Capiamo da noi stessi che nel momento in cui la società confonde gli scopi (benché materiali) confonde anche l’istituto “famiglia”. Giudicare il fenomeno non serve. Piuttosto risulterebbe utile rivedere l’intero concetto, dal momento in cui l’attuale civiltà ha prevalso sulla precedente e si è insediata.

La metamorfosi non è soltanto della “parola” ma della società o civiltà attualmente in essere. Così, se noi pensiamo alla parola “padre” nella sua accezione virtuosa ed originale alla luce della visione storica che guarda all’intero arco planetario non possiamo che sperimentare sensazioni legate alla protezione, alla saggezza… un concetto di maschile pari alla figura di un mentore. Se pensiamo alla parola “madre” non possiamo che pensare alla femminilità, alla bellezza, alla sensualità, all’accoglienza… a tutti i miti e le storie delle Dee antiche, che come un monito vengono a rientrare nel nostro bagaglio culturale proprio nello scorso secolo, a ricordarci qualcosa che abbiamo dimenticato e che questa civiltà ha cancellato con raccapricciante precisione.

Abbiamo attribuito alle medesime “parole” un contenuto sempre più diverso dal suo significato originario. Se una metamorfosi esiste, si tratta di un processo in corso da almeno 3000 anni. La semantica è assolutamente condizionata dal campo di osservazione della realtà, dalla sua ampiezza e dal punto storico in cui ci si colloca, con tutti i suoi condizionamenti. In sintesi, dal punto di vista di una storia che abbraccia un’ orbita senza fine cronologica e di una visione che guarda all’intero arco planetario che contempla tutta la razza umana, il fenomeno di metamorfosi delle parole con la graduale separazione tra significante e significato è in atto già da molto tempo, così tanto che le parole stesse hanno perso il loro riferimento originale.

Per noi, dopo migliaia di anni d’incessante indottrinamento, attraverso l’introduzione di un Dio padre belligerante e guerriero, questa è semplicemente una constatazione di realtà, che di fatto, però, non ha alcuna attinenza con la reale natura delle cose. Un’umanità in continuità con la vita non poteva che votarsi a una Dea Madre quale suprema Creatrice di ogni forma di vita, riconoscendo nella donna il valore mistico e trascendentale. Questa civiltà è stata letteralmente spazzata via, diremmo scacciata dal paradiso. È in quel preciso istante che il maschio ha assunto lo scopo (o ruolo) che conosciamo  e la donna di conseguenza: Tu uomo lavorerai con sudore e tu donna partorirai con dolore!. È di un passaggio storico-culturale che si sta parlando, e non necessariamente cronologico, nel senso che non è avvenuto in un giorno, ma in secoli di progressive trasformazioni.

Ad esempio, la parola “matrimonio” si riferiva in origine a una forma rituale riservata all’interno del genere femminile, come molti dipinti del ‘500 tentano di mostrarci, periodo storico in cui vengono deposti i semi di una nuova umanità che desiderava ripartire da dove avevamo lasciato, cioè da prima che l’attuale organizzazione sociale cominciasse a prendere il sopravvento sulla precedente civiltà. Una civiltà mutualistica in cui uomo e donna erano al centro di una visione che contemplava quale valore assoluto la coscienza e il suo ulteriore sviluppo e le cui attività produttive erano esclusivamente a latere di un lavoro di ricerca, di scoperta del senso profondo della vita (raffigurato dalla Dea Madre e dal suo consorte) e della ragion d’essere della razza umana su questo pianeta.

Nel suo dipinto intitolato ll matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria del 1523 (Accademia Carrara, Bergamo) Lorenzo Lotto, come alcuni artisti suoi contemporanei che conoscevano il significato mistico ed originale della Parola, ci suggerisce l’idea di un matrimonio dal sapore prettamente femminile, come il passaggio di un lignaggio da donna a donna, di un sapere o conoscenza che si tramanda all’interno della storia planetaria completamente dimenticata ma le cui evidenze archeologiche sono disseminate su tutto il globo. Un sapore che non ritroviamo più oggi nella celebrazione di questo rito: che sia esso civile o religioso, di fatto serve unicamente a sancire una serie di diritti e obblighi, che non hanno nulla a che vedere con le vere ragioni per cui questi due individui si stanno unendo attraverso un rito.

Il Cristo bambino è il simbolo di quella conoscenza, legata allo sviluppo di una particolare qualità della coscienza umana che viene tramandata attraverso l’atto dello scambio dell’anello. È di un’alleanza mutuale tra uomo e donna che si parla, un’alleanza di cui si sono completamente perse le tracce, al punto tale da convincere i due generi di essere in opposizione l’uno all’altro e nella smisurata e vuota ricerca della soddisfazione di scopi divergenti.

Il ragionamento si estende alla parola “sesso” che diventa così il personale ed egoistico appagamento di un piacere, mentre in origine la sessualità era l’unione mistica tra un uomo e una donna. Un’unione che porta con sé la trascendenza e la conoscenza diretta della ragion d’essere dell’uomo su questo pianeta… una ragione che va oltre il mantenimento della specie e che contempla la scoperta di sé e lo sviluppo ulteriore delle proprie facoltà elettive, a cominciare dalla Coscienza, ora come allora.

Il sentimento che oggi chiamiamo “amore” è in realtà un confuso tipo di desiderio, legato all’emotività e al possesso e che ha prodotto la progressiva riduzione della donna a mera proprietà privata dell’uomo o, qualora non lo fosse, della società. Il femminicidio è l’estrema  espressione di questo convincimento che altera la coscienza del maschio. Non esiste, infatti, antidoto politico o legislativo che possa sanare tale ferita dell’umanità, se non rivedere l’assunto di base che progressivamente ha preso il sopravvento.

Sto parlando della stessa alterazione che ci porta a leggere certi reperti archeologici come pornografia dell’antichità (e cito letteralmente le didascalie museali!) oppure ad interpretare le camere nuziali etrusche come tombe, quando i riti qui celebrati non riguardavano la “morte”, quest’ultima intesa come un passaggio testimoniato dalla presenza della porta dipinta. Riporre gli antenati nello stesso luogo in cui si celebra la ritualità di vita come di morte significa dare continuità all’anima, nel segno dell’evoluzione della specie.

In poche parole se una metamorfosi delle “parole” va ricercata, può essere trovata solo nella frattura tra il precedente e l’attuale paradigma culturale, cioè al di fuori dell’attuale organizzazione sociale, e collocandosi in una dimensione storica che guarda all’intero arco planetario. Le parole come "matrimonio", "padre e madre", "maschio", "femmina", "uomo", "donna", "sesso", "genere", "razza", "libertà", "vita", "morte", "diritto", "marito", "moglie", "amore", hanno subìto una trasformazione radicale almeno 3000 anni fa e perso da molto tempo l’originale identità con ciò a cui si riferivano.




2) Il termine "negro" oggi percepito con accezione fortemente negativa e lesiva della dignità umana, un tempo non molto lontano si trovava sui libri di scuola per descrivere, senza un filo di volontà offensiva, persone di ascendenza africana con la pelle scura, con lo stesso valore referenziale che oggi si darebbe al termine "caucasico". Si tratta secondo lei di un processo temporale fisiologico della lingua o di intromissioni da parte di una sorta di neolingua "polically correct"?

Poiché per noi il concetto di civiltà si associa esclusivamente a società patriarcali guerriere, non possiamo che continuare a vedere gli effetti dell’espansione di questa forma di organizzazione sociale e della sua conseguente mentalità che nel tempo ha investito tutte le culture, partendo dall’assunto che la nostra sia l’unica società possibile, nonché la migliore.

Come mostra la mappa sopra riportata, l’espansione (riferita alle conquiste fino al 1500) della nostra civiltà affonda le sue radici nella Mesopotamia. È convinzione comune che il resto del pianeta non fosse abitato o abitato solo da “popoli” inferiori, da sottomettere e conquistare.

Questa mentalità ha cancellato la percezione della diversità e autorizzato gli individui di un gruppo sociale a denigrare il diverso, fino a ridurlo in schiavitù. Ebbene le parti in bianco della mappa non erano zone disabitate del pianeta. Siamo stati istruiti diversamente e ottenuto come risultato finale un solido ma velato paradigma fondato su una dinamica dominatore/dominato.

Se in precedenza la parola negro - di derivazione latina - poteva essere utile ad individuare persone di ascendenza africana con la pelle scura, inevitabilmente la mentalità di cui parlo ne ha alterato il significato alla luce dei suoi scopi, rendendolo pian piano un termine inaccettabile e denigratorio ma questo perché ci si è resi in parte conto di ciò che è stato fatto, soltanto che i fattori di cambiamento più evidenti interessano ciò che può essere detto e non ciò che può essere fatto.

Ricordo che nei secoli precedenti all’attuale abbiamo assistito al travaso costante di individui liberi dall’Africa alle Americhe, per sopperire alla necessità di manodopera nelle coltivazione ed in molto altro, e non stiamo parlando di lavoratori retribuiti. Un atto giustificato solo dal fatto che si consideravano questi esseri come inferiori. Eppure questa realtà è stata trasferita quasi fosse un semplice dato.Vogliamo ricordare lo sterminio di interi popoli durante la conquista delle Americhe, espropriati dei loro territori? Vogliamo dimenticare quante volte nella storia della nostra attuale civiltà abbiamo sterminato popoli di cui poi non è rimasto alcun ricordo? Questo fenomeno è ancora in corso.

Considerare l’economia e la guerra come fattori connaturati alla condizione umana è un assunto che ha penetrato la mente moderna e trae le sue origini nella visione aristotelica e tolemaica del mondo: la belligeranza diffusa e la schiavitù di altri esseri liberi sono il pane quotidiano dei nostri antenati, a partire dall’età del bronzo fino ai nostri giorni, nulla a che vedere con un processo temporale fisiologico della lingua.




3) Ritiene che nella nostra società stiamo assistendo a un progressivo perdersi di senso? In altre parole, quando un termine o un simbolo perde di senso, quando vi è uno scollamento fra significato e significante e i simboli non sono più convenzioni universalmente accettate nella medesima cultura, su quali presupposti può generarsi e basarsi una sana comunicazione e una vera condivisione di ideali e progetti nella società?

La questione resta sempre la stessa. Si crede che l’attuale paradigma sia l’unico mai esistito. Sulla base di questa credenza si fanno considerazioni sulla perdita di senso senza rendersi conto che quel senso è già stato perso da millenni.

Non esistono simboli di questa cultura. Tutti i simboli sono frutto della precedente civiltà.

Non soltanto per il momento storico della loro “creazione” ma soprattutto perché appartengono a una contemporaneità che viaggia oltre la storia. Giunti a questo punto del processo di degenerazione, i presupposti per una sana e vera comunicazione non sono da ricercarsi nel linguaggio. Serve risalire più a monte, a partire dal pensiero.

Per poter tornare ad una comunicazione autentica serve diventare autentici, serve riportare l’essere umano alla sua integrità originale, permettere cioè all’umanità di conoscersi realmente al di fuori delle convenzioni stabili da tempo. Esiste uno scollamento di partenza altrimenti non avremmo mai diviso il significante dal significato né avremmo smesso di comprendere i simboli, che costituiscono l'unione perfetta di significante e significato.

L’errore è dovuto alla mancanza totale della conoscenza e del sapere antico che si intrecciavano indissolubilmente al simbolo; e non mi riferisco al fatto che non si conoscano i simboli come ritrovamenti o nella loro espressione grafica ma che non se ne conosce l’autentico uso che ne facevano i nostri antenati.

Un linguaggio che si è sviluppato esclusivamente per descrivere qualcosa che non ha forma, ovvero, l’“Essere” che alberga nel cuore di un uomo o una donna, quello che alcuni chiamano l’anima o animo umano.

Le parole hanno diversi significati a seconda del sistema “cognitivo” di riferimento, attraverso il quale analizziamo, studiamo e persino osserviamo.



4) Gorgia, antico filosofo greco, affermava che "la realtà non esiste; se esistesse non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile". Si evoca, in pratica, uno sfasamento tra significato e significante, che implica la creazione di terminologia e iconografia sciolte da ogni vincolo, poliedriche ma incapaci di comunicare, di inviare un messaggio univoco. Pensa che si tratti dello scenario attuale o ritiene che questa sia una preoccupazione infondata?

L’affermazione di Gorgia è assolutamente veritiera. Non sono infatti le parole a poter spiegare pienamente la natura e il significato di certi aspetti della realtà, conoscibili solo attraverso un’esperienza diretta, intraducibile per la mente scettica e condizionata attualmente in essere.

In contatto con una piena coscienza, la realtà è caratterizzata dall’impossibilità di essere raccontata. Simboli e metafore soccorrono l'essere umano - la mitologia antica è di questo che parla - ma bisognerebbe avere il giusto vocabolario dei simboli adottati per iniziare a comprendere.

È tutta una questione cognitiva: la realtà che osservo, cioè le informazioni che arrivano ai miei organi di senso, è oggettiva (onde sonore, luci, frequenze, o urti di etere, etc.) ma il modo con cui li interpreto dipende dagli “assunti” sui quali fondo il mio ragionamento e dalla descrizione di ciò che osservo presente nel mio bagaglio “culturale”, nonché dalle impressioni psichiche che produco sulla base di tutto questo.

Esiste una narrazione collettiva che ci fa credere che ci sia un’unica ed univoca “verità” sulla realtà osservata e percepita, mentre in realtà vediamo solo quello in cui crediamo, e non viceversa. Se cambiassimo gli “assunti”, infatti, non staremmo cambiando la realtà ma il modo con cui la interpretiamo. Ciononostante avremmo modificato radicalmente l’interpretazione di tutte queste nostre impressioni.

La realtà osservata resta sempre la stessa – per così dire - ma la “vivremmo” in modo completamente differente, dato che di fatto tutti noi viviamo la realtà. Non la osserviamo oggettivamente ma la viviamo alla luce delle verità che abbiamo, unilateralmente, assunto. Per poter essere realmente oggettivi, proprio come la scienza vorrebbe, dovremmo di fatto essere nelle condizioni cognitive di poter essere oggettivi, mentre siamo influenzati dai valori e dal senso ricevuti sin dai primi anni di infanzia, oltre che dal modo con cui questi valori ci hanno aiutato a comprendere il prosieguo del nostro vissuto.

Insomma, un gran bel problema!


5) Umberto Eco, parlava di "semiosi illimitata", ovvero la narrazione di un mondo in cui è impossibile comunicare, in quanto, in un processo di costruzione di significato, operato in collaborazione da emittente e da destinatari, ognuno inserisce nel contenitore "testo comunicativo" il senso che preferisce, non quello che effettivamente l'emittente intende comunicare attraverso quel testo. Lei pensa che oggi la comunicazione attuale si sia inserita in questo vicolo cieco?

Certamente! Nei miei incontri dico sempre una cosa: “io sono responsabile di quello che dico, ma non di quello che capirete”. Le ragioni di questo limite sono molteplici ma in un certo senso c’è sempre un fattore comune: emittente e destinatario non condividono la stessa visione del mondo.

C’è molto da esplorare i propri sentimenti prima di accorgersi realmente cosa una parola significhi per noi, e perché. Non riusciamo ad osservare quanto profondo coinvolgimento emotivo irrazionale ci sia dietro la comunicazione. È come se il canale comunicativo fosse ostruito e a passare fossero soltanto le parole, interpretate poi da ciascuno a modo suo. E, ancora di più, è come se lo stesso canale fosse completamente libero e ci passasse dentro ogni sorta di senso ed influenza, assunti poi dal ricevente come verità.

Ben venga dunque la costruzione del significato ma a partire dalle splendenti note dell'Essere. Da quello si sviluppa una lingua viva e una sana comunicazione. Al contrario, una semiosi non soltanto illimitata ma pure meramente intellettuale non può che essere il riflesso di una profonda mancanza di senso, come se la nostra presenza in questo universo smisurato fosse un'assurda casualità.

ROCCO BRUNO E SENSO COMUNE - ALLA RICERCA DEL SEGNO PERDUTO ROCCO BRUNO E SENSO COMUNE - ALLA RICERCA DEL SEGNO PERDUTO Reviewed by Polisemantica on giovedì, gennaio 10, 2019 Rating: 5

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