APOCALITTICI E INTEGRATI - PIERO ALESSANDRO CORSINI


Nuova puntata di Apocalittici e integrati, ciclo di interviste a intellettuali e protagonisti della comunicazione, per ragionare del presente e del futuro della comunicazione.



Partecipa alla discussione Piero Alessandro Corsini, Responsabile Canale Rai 5 della Direzione Rai Cultura. È inoltre Consigliere di Amministrazione della società San Marino RTV.

È stato responsabile del progetto La Storia siamo noi, Dixit e del canale Rai Storia.



Ha scritto con Giovanni Minoli "La storia sono loro. Faccia a faccia con trent'anni d'attualità" e vari altri testi di indagine.




In che stato versa, secondo lei, la comunicazione televisiva, radiofonica, web e cartacea oggi in Italia? È sana o avrebbe bisogno di qualche cura?

Sono ambiti estremamente diversi tra loro, impossibili da valutare insieme.

Bisognerebbe semmai ragionare in termini di vasi comunicanti: qual è l’impatto del Web sulla televisione e sull’informazione cartacea? Com’è cambiata la radio nell’era di Internet?

Mi pare abbastanza evidente, ad esempio, che la diffusione delle testate online abbia imposto un ripensamento radicale della funzione dei quotidiani, da cui si chiede sempre di più l’approfondimento e il retroscena della notizia. Ma questo, a cascata, ha danneggiato i settimanali di informazione, che infatti sono stati spinti a una sostanziale marginalità.

Mi colpisce poi il rapporto tra televisione e Web. Dopo essersi interrogati per anni su quali potessero essere i cosiddetti web generated contents, cioè i contenuti progettati per e nati sul web, alla fine si è scoperto che al Web viene affidato, per lo più, un altro canale di distribuzione dei contenuti lineari (vedi ad esempio Netflix).

E quindi siamo alle solite: si moltiplicano le autostrade, ma le automobili che le percorrono sono sempre le stesse.

In questo senso, l’esperienza di pay tv come Sky dovrebbe insegnare qualcosa: saturato il mercato degli abbonati, si può solo sperare che non disdicano l’abbonamento perché delusi dalla ripetitività dell’offerta.

Questo è il macro-scenario, valido pressoché dappertutto: quanto alla specificità italiana, e riferendosi in particolare all’editoria e alla televisione, ancora una volta possiamo vantare uno dei sistemi di maggiore qualità al mondo. Il che non significa che non ci siano problemi o ampie aree di miglioramento.

Come dirigente della RAI, è abbastanza logico che mi stia molto a cuore il Servizio Pubblico: direi che, in questo ambito, siamo ancora lontani da una riflessione approfondita su quale possa e debba essere oggi la sua missione, né mi sembra che i governi degli ultimi vent’anni – di questo o di quel colore – abbiano posto vera attenzione sul problema.

Questo anche perché il ricambio generazionale che si è avuto nella politica ha portato in Parlamento una classe politica più giovane, che non ha nel suo DNA la percezione dell’importanza del Servizio Pubblico in una democrazia sana e matura qual è quella italiana.

E allora, se di cura vogliamo parlare, la prima terapia necessaria sarebbe capire fino in fondo quanto sia fondamentale la RAI per il Paese e per gli italiani (compresi quelli – e sono decine di milioni – che vivono all’estero).




Secondo lei esiste una differenza fra informazione e comunicazione?

Certo che esiste.

L’informazione è un servizio; la comunicazione è un atto volontario e deliberato con cui si vuol far passare un messaggio.

Il problema è quando la seconda si confonde con la prima…

Per essere più chiari, e a rischio di essere banali: le previsioni del tempo (o le notizie sulla Borsa) sono informazione; un varietà è, invece, comunicazione, perché anche attraverso questo genere televisivo passa allo spettatore un sistema di valori, ideologie, riferimenti.

In questo senso, esempio principe (spesso misconosciuto) della comunicazione televisiva è la fiction.



Vale ancora la pena oggi, per un giovane, dedicarsi allo studio della comunicazione e ambire a lavorare in questo contesto?

Sì, purché strada facendo quel giovane acquisti consapevolezza di qual è la sua personale vocazione: il Servizio Pubblico? L’impresa commerciale?

Non bisogna dimenticare, poi, che – come in tutti gli ambiti lavorativi oggigiorno – anche questo è estremamente competitivo.

Il vero obiettivo dev'essere perciò l’eccellenza: occorre essere colti, preparati, infaticabili, curiosi, poliglotti.

Bisogna, soprattutto, desiderare avidamente un lungo, graduale apprendistato che consenta di impadronirsi, pezzo a pezzo, di tutte le componenti della professionalità che si è scelta.

Si vuole diventare registi? Si cominci allora a studiare le leggi della fisica e dell’ottica. Si vuole diventare giornalisti? Si cominci ad esercitarsi con dei testi ad uso privato, per mettere a punto grammatica, ortografia e consecutio temporum (si stenterebbe a credere quel che si legge ad esempio nelle tesi universitarie).

Per comunicare non basta aver qualcosa da dire (che pure è già tanto): bisogna sapere anche come dirlo.



La frase "televisione cattiva maestra" è, considerando la situazione attuale in Italia e nel mondo, condivisibile?

Assolutamente sì.

Seguendo il ragionamento iniziato prima, sono ormai vari decenni che anche in Italia – come già in altri Paesi – anche la televisione è stata asservita all’obiettivo di trasformare i telespettatori in milioni di consumatori senza cervello.

Ci aveva già ammonito, nel 1976, il film Quinto potere, di Sidney Lumet: ma oggi quella pellicola non la ricorda più nessuno, benché andrebbe imparata a memoria.

Milioni e milioni di persone cui ogni giorno, ogni ora, da qualunque canale televisivo, viene ripetuto ossessivamente che la loro unica funzione nella vita è spendere e consumare.

Il risultato è una doppia frustrazione: la prima è l’amara scoperta che, per quanti smartphones, televisori e lavatrici uno possa comprare, non vi trova l’elisir della felicità; la seconda è che, per giunta, la durissima crisi economica che stiamo vivendo impone un freno anche allo shopping più selvaggio.

Nel frattempo, lo dicono i dati e prima ancora l’esperienza quotidiana, gli italiani hanno disimparato a leggere, a scrivere e a parlare.

E tornando ancora alla differenza cui si accennava prima tra informazione e comunicazione: non sarebbe il caso di chiedersi quali valori, quali modelli, quali stili di vita propagandi la televisione di oggi? Non sarebbe il caso di riflettere sul fatto che ci sono milioni di persone che, per ragioni diverse, tengono accesa la televisione dalla mattina alla sera, assorbendo passivamente tutto ciò che trasmette?

Non sarebbe il caso di confrontare le statistiche tra il consumo quotidiano di televisione, appunto, e la quantità di libri che vengono acquistati (e soprattutto letti) nella case degli italiani?





Netflix, le webserie, i reportage su web, i videoblog sostituiranno completamente la fruizione video televisiva o no?

Ancora una volta, si mescolano specificità completamente diverse.

Netflix e il Web sono piattaforme distributive, il videoblog è una modalità di racconto.

Per quanto riguarda in particolare Netflix, ho fortissimi dubbi che la possibilità di crearsi un palinsesto personalizzato porti all’estinzione della televisione generalista – specie se quest’ultima, come detto prima, ritroverà la sua ragion d’essere nella società contemporanea.




Lei si definirebbe apocalittico o integrato?

Proviamo a dirla così: quello che mi ha sempre affascinato, ad esempio, del cinema americano degli anni Settanta è stata la sua capacità di rinnovarsi completamente senza però sovvertire i principi fondanti dell’industria di Hollywood.

Ecco, entrare in un sistema, provare a capirlo fino in fondo e, dal suo interno, provare a modificare ciò che si ritiene possa essere migliorato è, secondo me, la strada migliore e più efficace.

APOCALITTICI E INTEGRATI - PIERO ALESSANDRO CORSINI APOCALITTICI E INTEGRATI - PIERO ALESSANDRO CORSINI Reviewed by Polisemantica on martedì, gennaio 15, 2019 Rating: 5

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