Era il simbolo del suo prestigio e della sua potenza.
Consisteva in un corteo formato dalle truppe vittoriose con alla testa il triumphator, il trionfatore che, partendo da campo Marzio, entrava in Roma attraverso la Porta Triumphalis, portando con se i prigionieri e il bottino.
Fu Tarquinio Prisco che, per primo,celebrò un trionfo su un cocchio dorato a quattro cavalli, il carro del vincitore, in Roma, vestito con una toga ricamata d'oro ed una tunica palmata (con disegni di foglie di palma), vale a dire con tutte le decorazioni e le insegne per cui risplende l'autorità del comando.
Era costume, almeno in epoca repubblicana, che il trionfatore fosse accompagnato da un addetto che gli reggeva la corono d'alloro appesa sopra il capo e che per tutto il tragitto gli ripetesse ad intervalli regolari la frase "Hominem te esse memento" (in latino: ricordati che sei solo un uomo) per evitare che nella gloria del momento e con l'acclamazione della folla il festeggiato si montasse la testa.
Sul sito mionome è apparsa in questi giorni un'interessante e condivisibile osservazione:
"L’effetto più pericoloso della sconfitta è la disgregazione del gruppo. Quando non avviene al momento della battaglia, di solito, avviene in seguito. La gente non capisce subito gli effetti della sconfitta. Pensa che tutto continuerà come prima. Invece, dopo la vittoria, il vincitore incomincia un’opera sistematica di disgregazione della società sconfitta. I vinti, spaventati, perdono la fiducia in loro stessi, nelle loro istituzioni, nella loro storia, nei loro valori. Il vinto - diceva Paul Keskhemeti - prende i valori del vincitore.
Nella democrazia imperfetta, chi vince cerca di annientare il vinto, di dividerlo, di farlo scomparire. E lo sconfitto, in ogni caso, è preso dal panico, teme di essere processato, di perdere la ricchezza e il lavoro. Nel nome di “si salvi chi può” cerca la sua salvezza saltando sul carro del vincitore. Ma non lo fa per convinzione, lo fa per paura. Si diffondono così l’opportunismo, il cinismo, l’ipocrisia. Non si forma una vera opposizione forte, sicura di sé, mossa da ideali. Tutti cercano di contare nell’area di potere che monopolizza le risorse."
Come disse Oscar Luigi Scalfaro "è' il carro del vincitore quello che attira, le ideologie non contano. Ho visto anche persone di statura scrivere pagine infelici della propria biografia. Ma il politico serio deve saper dire dei no, dispiacere ai propri elettori e accettare l'idea di non essere rieletto".
Molti esponenti della classe dirigente vorrebbero ora, metaforicamente, salire sul carro del vincitore di queste elezioni.
Ernesto Galli della Loggia con il suo editoriale "Atlante populista italiano" - sul Corriere della Sera - scrive: "Se si voleva mandare a casa un'intera classe politica quale altra via esisteva se non il voto per la lista di Beppe Grillo?".
Il patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, uno degli uomini più ricchi d'Italia: "Grillo premier, perché no? Non credo che sia più stupido di quelli che abbiamo avuto fino adesso".
Fra altri disponibili al governo Grillo c'è Francesco Biasion, titolare di un'azienda di stampaggio a caldo di valore mondiale - la Bifrangi di Vicenza - che prima votava Pdl e quello di Andrea Bolla - presidente della Confindustria di Verona - mentre possibilismo sul leader del Movimento 5 Stelle hanno espresso l'amministratore delegato di Amplifon Franco Moscetti e l'ex gran capo di Unipol, Giovanni Consorte.
Fra quelli in antitesi con tale prospettiva abbiamo il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, secondo il quale, se venisse applicata l'agenda di Grillo, "l'industria italiana sarebbe finita".
Si potrebbe a questo punto tenere a mente un tweet di Vittorio Zucconi che afferma "A proposito di obiettività. Se dobbiamo rispettare quel 25% che ha votato M5S dobbiamo rispettare anche il 75% che non lo ha votato. O no?"
IL TRIONFO DI BEPPE GRILLO, IL CARRO DEL VINCITORE NELL'ANTICA ROMA E LA PAURA DEGLI SCONFITTI
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domenica, marzo 03, 2013
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