Nuova puntata di "5 domande", la serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.
Oggi risponde alle 5 domande Cristiano Puglisi, giornalista che ha scritto per diversi siti e testate, locali e nazionali, tra cui "Libero", "Il Giornale Off", "Barbadillo.it" e "L'Intellettuale Dissidente".
Cura il blog Il Ghibellino che appare su Il Giornale.it.
Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?
Penso sia presto per fare delle valutazioni ma i nomi indicati per la direzione dei telegiornali delle tre reti storiche sembrano una svolta epocale rispetto alle logiche volgarmente spartitorie viste fino a oggi.
Soprattutto mi ha favorevolmente sorpreso il nome di Gennaro Sangiuliano. Un giornalista e uno scrittore intellettualmente onesto, di quell'onestà intellettuale che può segnare un solco con l'imbarazzante storytelling visto per anni sulle reti RAI, ad esempio sul conflitto in Siria, sui rapporti con la Federazione Russa, su Trump, sui migranti, sull'economia...
Certo, un direttore, così come un consigliere d'amministrazione o un presidente, non può cambiare tutto da solo e quindi bisognerà capire quanto in profondità potranno incidere su un apparato collaudato per dirigersi nella direzione opposta. La RAI fa pienamente parte di quello che potremmo definire il deep state italiano.
L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?
Qui torniamo al discorso sul deep state. No, i telegiornali non bastano e comunque l'obiettività piena è un'utopia. La cultura è politica e viceversa. Quindi la produzione culturale è anche, se non soprattutto, espressione di una volontà politica.
Del resto, già nella Seconda Guerra Mondiale, quando gli alleati sbarcarono in Italia, tra le prime cose che fecero ci fu quella di organizzare lo Psycological Warfare Branch, operazione che aveva lo scopo di orientare l'opinione pubblica attraverso i mezzi di informazione e la produzione cinematografica.
Fu lo PWB a portare in Italia il cinema statunitense, a promuovere il culto dell'American way of life.
L'aspetto culturale, intendendo con questo termine la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?
Poniamo un caso specifico. Se io fossi un anticlericale convinto e dovessi realizzare per la RAI uno speciale sulla Riforma Protestante, magari dipingerei Lutero come un salvatore del cristianesimo, cercando di far passare invece il cattolicesimo romano come un postribolo di corruzione morale e materiale. A quel punto influenzerei il mio pubblico ad avere un'opinione positiva del protestantesimo?
Forse non quello che già si è fatto un'opinione nel merito, quello informato, cultore della materia, che potrà decidere con sguardo critico. Ma, quello semplicemente curioso, composto da persone che non hanno sufficienti informazioni al riguardo, cioè la maggior parte, certamente ne sarà influenzato.
Sulla sua capacità di giudizio inciderà ovviamente l'autorevolezza del medium. E, attenzione, non parlo soltanto del cosiddetto “pubblico di massa”. Si immagini un dirigente di una multinazionale, che la sera torna a casa stanco, provato da una giornata di riunioni e telefonate, perennemente connesso. Quanto tempo avrà per informarsi su un tema di quel tipo? Poco o nullo.
E' chiaro che sarà allora maggiormente ricettivo rispetto alle fonti più tradizionali, come la televisione. Ecco, con i programmi di intrattenimento culturale accade esattamente questo. Solo un occhio allenato può accorgersene, ma a quel punto è abbastanza evidente quando questo si verifica. E si verifica nella maggior parte dei casi, anche quelli più insospettabili.
Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?
Gli studi sulla PNL hanno dimostrato da tempo come sia possibile influenzare i propri interlocutori con il modo di parlare. Qui entrano in gioco anche l'esperienza e la malizia del conduttore.
Poniamo un altro caso concreto. Immaginiamo che io debba condurre una trasmissione economica e abbia come ospite un economista alternativo alla vulgata corrente, che io invece condivido (o che mi è stato imposto di condividere..). Probabilmente cercherei di metterlo in difficoltà psicologicamente con il mio atteggiamento, ma anche di farlo apparire come un folle, un visionario. Come? Semplice, potrei invitare differenti ospiti di diversa estrazione politica, ma concordi nel contrastare la linea economica del mio ospite. Nuovamente lo spettatore “influenzabile”, in questo caso privo cioè di nozioni economiche, sarebbe portato a credere che la posizione dell'economista sia assurda, se addirittura politici tra loro avversari concorrono a denigrarlo.
Bene, ciò che ho descritto è quello che puntualmente avviene da anni, quando in qualche trasmissione si presentano economisti contrari alla vulgata neoliberista... Fondamentale poi è il ruolo svolto dalle cosiddetta neo-lingua in quella che è chiamata la finestra di Overton, cioè il meccanismo con cui un'idea considerata tabù viene progressivamente fatta diventare opinione comune. Facciamo un esempio per assurdo.
Se da domani si facesse circolare nei principali salotti televisivi la notizia che ci sono studi che dimostrano come i rapporti sessuali tra adulti e minori non debbano essere repressi, supportati da una serie di evidenze scientifiche o pseudo tali e, contemporaneamente, si iniziasse a sostituire un termine ormai percepito come intrinsecamente negativo come “pedofili”, con una nuova definizione politicamente corretta, come, poniamo caso, “diversamente amatori”, e questo fenomeno venisse così descritto su tutti i principali quotidiani, le radio, i telegiornali a spron battuto, questo potrebbe influenzare il pubblico ad avere un atteggiamento meno repulsivo nei confronti della pedofilia? Non voglio dare una risposta, la lascio al senso critico di chi leggerà questa intervista...
Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?
La RAI ha avuto responsabilità enormi nella riduzione di senso critico degli italiani. Senso critico che è fortunatamente stato risvegliato dal web, grazie a una serie di coraggiose iniziative “contro corrente” che hanno avuto fortunatamente successo.
Ecco, credo che se avessi il privilegio di un simile potere, di cui oggi non credo possa disporre neppure il presidente della RAI stessa, cercherei di dare maggiore spazio a queste voci critiche, fuori dal coro, sotto l'aspetto dei contenuti e, sotto l'aspetto tecnico, mi piacerebbe rendere la produzione più interattiva e meno cattedratica, più social insomma.
Ma non credo che gli attuali vertici RAI abbiano idee molto difformi da queste.
LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: CRISTIANO PUGLISI
Reviewed by Polisemantica
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martedì, novembre 20, 2018
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