I SEGRETI DEL TRIONFO DELLA MORTE DI BUFFALMACCO


L'affresco di Buonamico di Martino, detto Buffalmacco, raffigurante il Trionfo della Morte è il primo di una serie di tre grandi scene per il Campo Santo di Pisa e fu eseguito nel 1336-41. Il dipinto è stato restaurato nell'aprile del 2018 e riportato all'antico splendore.

Si tratta di un'opera ricca di elementi, con molte antitesi e una fitta simbologia.



È divisa in coppie antitetiche disposte in punti opposti della scena.


Vediamo quindi l'antitesi fra sacro e profano in diagonale, in cui si vedono ai vertici della scena i monaci che lavorano e pregano, in alto, e i giovani che si divertono e suonano, in basso.


Negli altri due vertici, uniti da un'immaginaria diagonale, troviamo l'antitesi tra la morte corporale, con i tre cadaveri nelle bare, in basso e la vita eterna spirituale, con gli angeli che portano le anime del beati in Paradiso, in alto.

La morte corporale, con i tre cadaveri nelle bare

la vita eterna spirituale, con gli angeli che portano le anime del beati in Paradiso
Altra antitesi appare tra ricchezza e miseria, simboleggiata dai ricchi nobili a cavallo e accanto i miserabili che invocano la morte, inascoltati.


Infine, l'antitesi fra la quiete operosa dei monaci, che trascorrono l'esistenza in calma e tranquillità e la vorticosa frenesia disordinata del dies irae, agitata dalla cattura delle anime da parte dei demoni e dalla battaglia che si svolge nei cieli nel giorno dell'apocalisse.


Nella sezione mediana dell'affresco, appare l'icona di una vecchia canuta e scarmigliata, prosopopea della Morte, che volando impugna una falce, simbolo del distacco dalle radici terrene. Indossa una maglia ferrata, simbolo di invulnerabilità, con ali da pipistrello e unghie a mo’ di artigli, simbolo di demoniaca rapina e del fatto che la Morte è creatura del demonio, non di Dio.


Sotto la Morte, in un'orrida e immane fossa comune universale, sta un ammasso di persone ormai falciate: in un groviglio di membra disfatte e abiti sontuosi, di stracci laceri e di teste incoronate, si vedono affiorare le icone di pontefici, imperatori, regine, principi, poveri, servi e villani, simbolo e sineddoche dell'intera umanità coinvolta nel medesimo destino di morte corporale.


Interessante la scena dell'incontro dei tre vivi e dei tre morti, soggetto tipico della iconografia della Morte

Il tema rappresentava tre giovani cavalieri in abiti signorili che, nel corso di una cavalcata per la caccia, incontravano tre cadaveri quasi ridotti a scheletri, che li ammonivano dicendo: «Ciò che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso».

Si tratta di un memento mori, ammonimento agli esseri umani affinché non dimentichino l'appuntamento inevitabile per ciascun vivente e vi si preparino per poter oltrepassare il cancello della felicità eterna. Lo si ritrova anche nei cartigli di alcuni ossari antichi: “Quod fuimus, estis; quod sumus, vos eritis”, Ciò che fummo voi siete, ciò che siamo voi sarete.




Personaggio determinante dell'affresco è il monaco Macario. Si tratta di un eremita vissuto intorno al 300 nella parte abitata della Tebaide, regione dell'Egitto con capitale Tebe, circondata a est e a ovest dal deserto nel quale si ritirarono, durante i primi secoli del cristianesimo, i primi eremiti ed anacoreti cristiani, come San Macario, San Pacomio, Sant'Antonio, e altri meno noti. Questa regione fu scelta in particolare da San Pacomio per fondare il proprio monastero, la prima esperienza cenobitica della storia cristiana.

Nell'affresco, San Macario, che vive con gli altri monaci  in un monastero su un promontorio roccioso, incontra tre cavalieri, ricchi, giovani, belli e spensierati, che si trovano all'improvviso davanti, tre cadaveri nelle loro bare, ciascuno in uno stadio diverso della morte, dal cadavere "fresco", a quello in putrefazione, a quello ormai scheletro.

Le icone dei cadaveri sono simboli dell’orgoglio, della superbia e della vanagloria. Sono avvolti fra le spire di serpenti, simbolo del male, secondo la concezione cristiana. Non dimentichiamo però che il serpente è anche antico simbolo di rigenerazione e immortalità e che quindi evoca il concetto del destino eterno, o in felicità o in disperazione, dei tre individui di cui al momento appaiono solo i corpi immobili e sfatti.

I codici gestuali di uno dei cavalieri, che si porta la mano sul naso, suggeriscono il terribile fetore prodotto dalla carne putrefatta dei tre morti.


Anche le icone degli animali presenti, hanno una simbologia che permette di leggere l'opera a più livelli di significazione: i cavalli inforcati dai giovani ricchi sono simbolo della lascivia,  lussuria e superbia che conducono metaforicamente i loro cavalieri.

Le icone dei cani sono invece simbolo della fedeltà, quindi della fede, che può salvare gli uomini e permettere loro di prendere la giusta via. Sono anche simboli dell'olfatto e non a caso sono posti dinanzi ai tre corpi in decomposizione per aumentarne la valenza semantica e percettiva.

Il monaco Macario, in basso a sinistra ammonisce i giovani: dietro di lui sta l'ardua e metaforica via in salita della vita eremitica. Solo liberandosi dai lacci della materialità e ascendendo a una vita spirituale ci si può salvare, non dalla morte corporale, ma da quella spirituale, ben più drammatica.


Altri animali sono presenti nella scena, anch'essi con una precisa simbologia: la lepre è simbolo della fuga inutile dell'Uomo dalla Morte, il cervo, pacificamente accucciato è simbolo dell’anima che anela al bene, e quindi a Dio, nella perfetta imperturbabilità che questo comporta.

Il fagiano, sul declivio, è simbolo araldico della semplicità di spirito e anche di rinascita, di rigenerazione, rinnovamento.

Accanto al gruppo dei giovani cavalieri e in mezzo fra essi e il cimitero planetario, la grande fossa comune dell'umanità, vi è un gruppo di pezzenti, di mutilati e storpi, che, attraverso i codici gestuali, implora la morte di liberarli dalla sofferenza ma paradossalmente la morte desiderata, volge altrove il suo sguardo.

Il Dies Irae, "Giorno dell'Ira" è iniziato. Con un'ulteriore antitesi inizia anche la battaglia tra angeli soccorrevoli e implacabili demoni,  determinati a strappare le anime dai corpi dei defunti per precipitarle nella notte infernale, simboli rispettivamente del Bene e del Male, del Paradiso e dell'Inferno.


Le icone dei neonati che spuntano dalle bocche dei morti sono simboli delle anime che, se destinate alla felicità eterna vengono prese in braccio dagli angeli, altrimenti vengono artigliate dai diavoli per essere condotte  al loro eterno destino di disperazione.

In basso a destra vediamo le icone di dieci giovani in un verziere, che suonano e conversano nel lussureggiante giardino, simbolo della vita gaudente e dimentica del destino finale, non tanto quello della morte corporale quanto dell'esistenza post mortem, quella eterna.

I codici dell'abbigliamento e gestuali ci rivelano la nobile condizione dei giovani e la loro prospera vita spensierata e frivola.


Gli strumenti musicali sono simbolo di licenza, di lussuria.

Il cane in braccio alla donna è simbolo di fedeltà, il falcone simbolo di nobiltà, atteggiamenti positivi ma non sufficienti a contrastare la morte e a guadagnare la vita eterna. La Morte, con la sua falce, incombe infatti, non vista, proprio dietro di loro.

A sottolineare la fugacità della vita terrena, sulla brigata di spensierati volteggiano due putti che rovesciano le fiaccole accese, simbolo di morte imminente.

L'opera come appare dopo il recente restauro
I SEGRETI DEL TRIONFO DELLA MORTE DI BUFFALMACCO I SEGRETI DEL TRIONFO DELLA MORTE DI BUFFALMACCO Reviewed by Polisemantica on giovedì, ottobre 10, 2019 Rating: 5

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