Nuova puntata di "5 domande", serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.
Risponde alle 5 domande Gianluca Vacchio, giornalista all'agenzia stampa "Il Velino". Cura il blog Lo Specialista, dedicato al mondo dei media.
Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è"?
Corrado Guzzanti, che mi piacerebbe tornasse a fare un po’ di satira sugli schermi Rai, risponderebbe “La seconda che hai detto”…
Ogni governo ci promette la “Rai del cambiamento”, ma temo proprio che non la vedremo neanche questa volta. La riforma della governance voluta da Matteo Renzi doveva essere più coraggiosa. E nel contratto di governo di Luigi Di Maio e Matteo Salvini (30 capitoli e 57 pagine) all’argomento Rai vengono dedicate quattro righe e mezzo (parecchio generiche) al capitolo 27.
Credo proprio che lo schema di gioco al settimo piano di Viale Mazzini sarà ancora lo stesso. Il governo si sceglie il capo azienda, e il Parlamento gli piazza qualche sentinella alle calcagna. E guardando alle prime nomine ai tg, temo proprio che il nuovo amministratore delegato, Fabrizio Salini, non sarò libero di fare il gioco che preferisce.
L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?
Gli italiani non hanno bisogno di format, fiction o tg Rai che alterino la loro percezione della realtà. Sono autodidatti!
Dalle nostre parti, purtroppo, analfabetismo funzionale e ignoranza la fanno da padroni. Il divario tra quello che percepiamo e la realtà dei fatti è enorme: 4 italiani su 5 non distinguono un profilo Facebook o Twitter falso da uno vero; 3 su 5 non riconoscono una fake. E una falsità sui social ha il 70% in più di possibilità di essere condivisa rispetto alla verità.
Alla fine, insomma, non solo percepiamo quello che ci pare ma siamo anche complici della disinformazione e della propaganda. Quello che posso consigliare a chi fa il servizio pubblico è di usare linguaggi semplici e chiari.
Il pubblico al quale si rivolgono (e la cosa riguarda in particolare le nuove generazioni) non legge e non scrive, chatta.
L'aspetto culturale, intendendo con questo termine la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?
La Rai assolve a questo compito sulle Reti generaliste in particolare con la grande fiction di Rai1 e i documentari di Piero e Alberto Angela. Due generi che a giudicare dal Qualitel, che misura l’indice di gradimento dell’offerta della tv di Stato, riscuotono un discreto successo.
Magari farei a meno di certe fiction giunte alla decima serie e ne implementerei altre che ci raccontano l’arte, la storia e la letteratura del Belpaese. Gli Angela non hanno bisogno dei miei consigli.
Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?
Non vorrei sembrare disfattista, ma le ricerche ci raccontano uno spettatore dal quale non solo è difficile farsi capire, ma anche farsi semplicemente seguire. Uno spettatore che vuole tutto e subito; ma è distratto e non ha pazienza; allo stesso tempo è esigente e dinamico; si informa su mobile e nei meandri dei social; se accende la tv, si costruisce il suo palinsesto e sempre più spesso lo trova nell’offerta dei big di internet e delle tlc.
È evidente che una Rai che vuole fare servizio pubblico e stare contemporaneamente sul mercato deve scommettere anche sulla formazione dei propri comunicatori. Le parole d’ordine devono essere credibilità, autorevolezza e professionalità. Il tutto declinato con un linguaggio che sappia adattarsi alla piattaforma utilizzata.
Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?
La prima cosa è recidere il cordone ombelicale che unisce Viale Mazzini e il Palazzo. Se potessi disegnerei una Rai sul modello della “zietta” inglese. La Bbc, intendo, che sa informare, educare ed intrattenere.
Una Rai indipendente, imparziale e autorevole. Ma anche autosufficiente economicamente, con risorse certe e, se necessario, implementate per consentirle di fare investimenti.
Una Rai che rinunci totalmente alla vocazione commerciale (e agli spot) per adottarne una esclusivamente di servizio pubblico.
Una Rai che trasmetta sempre i grandi eventi sportivi, culturali e d’intrattenimento che i cittadini aspettano con trepidazione.
L’audience, dunque, non più come obiettivo ma come naturale conseguenza di una programmazione di qualità. L’informazione poi, andrebbe totalmente ripensata.
Anche qui sul modello inglese, con un’unica newsroom a vocazione digitale, multipiattaforma e operativa 24 ore su 24. E non una manciata di tg in concorrenza tra di loro.
Ma per farlo non basteranno piani editoriali e nuovi direttori. Bisognerà prima abbattere le corporazioni interne a Saxa Rubra...
LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: GIANLUCA VACCHIO
Reviewed by Polisemantica
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venerdì, dicembre 28, 2018
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