LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: ENRICA PERUCCHIETTI



Continua "5 domande",  la serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.

Oggi risponde alle 5 domande Enrica Perucchietti, giornalista, scrittrice, docente universitaria, conduttrice radiofonica e televisiva.



Ha scritto vari saggi tra cui Fake News - Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso, con prefazione di Marcello Foa e cura il blog suo omonimo



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del “che tutto cambi affinché tutto rimanga così com’è”?

Non so francamente quanto potrà cambiare: sarebbe da sovvertire un intero sistema ormai incancrenito e ciò non credo sia ancora possibile e soprattutto non in breve tempo.

Da quel che ho capito si sta lavorando sul palinsesto 2020, non sono previste assunzioni, semmai una progressiva riorganizzazione interna. Ho fiducia nel Presidente Foa, che è un caro amico, ma un uomo solo non può certo trasmutare il piombo in oro. Basti pensare che ogni cosa che dice o fa è sotto i riflettori con la stampa e la politica mainstream pronti a giudicare e a condannare qualunque suo passo falso e a strumentalizzare le sue dichiarazioni. Immaginate come possa essere lavorare in un clima simile…

Il neopresidente ha comunque promesso meno politica e più meritocrazia e sono sicura che partirà proprio da questo punto. Gli auguro di poter trovare collaboratori fidati e capaci che lo possano accompagnare in questo difficile compito.



L’intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell’Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

Certo, ormai la propaganda avviene anche e soprattutto attraverso lo spettacolo: serie TV, fiction, film, talk show. Come insegnano alcune regole auree della manipolazione sociale, lo spettacolo può servire per manipolare le masse meglio dei media.

Lo spettacolo serve per distrarre l’opinione pubblica deviandone l’attenzione dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dall'alto, attraverso la tecnica del diluvio o inondazione di continue “distrazioni” e informazioni insignificanti; può servire a far penetrare per gradi nell'opinione pubblica alcune tematiche scomode per “normalizzarle”; può servire a rafforzare alcuni slogan tipici della propaganda e infine a stimolare il pubblico a essere compiacente con la mediocrità. Non è un caso se spopolano ovunque i reality show.

Negli anni si è spinto sempre di più il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti. I reality show, la TV spazzatura e l’imposizione di modelli sempre più trash, soprattutto ai più giovani, serve ad appiattire l’opinione pubblica su canoni estetici e culturali sempre più volgari, rendendoli di fatto un modello da ammirare e imitare. Dovremmo invertire questa tendenza per poter rilanciare il valore della cultura, dell’arte e dell’informazione soprattutto nelle nuove generazioni.



L’aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all’Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

Certamente, ed è per questo che la televisione in generale offre sempre meno spazio ai contenuti culturali, preferendo mandare in onda sui canali principali o nelle fasce d’orario migliori la cosiddetta TV spazzatura. Il pubblico è ormai assuefatto a contenuti di basso livello oppure si rivolge alle piattaforme web per l’intrattenimento, il cinema e le serie TV in streaming.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il “modus agendi” dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

Certamente, ci sono conduttori troppo di parte che più che essere giornalisti sembrano opinionisti: si capisce il loro orientamento dal tipo di domande, dallo sguardo, dalle risposte sgarbate oppure melliflue agli ospiti, dagli sguardi, da quanto tempo concedono a un ospite rispetto a un altro ecc.

Uno dei problemi della TV pubblica non è tanto la censura, quanto il modo in cui vengono trattate certe tematiche, attraverso gli stessi conduttori o la scelta calibrata degli stessi ospiti che ricoprono il ruolo di “cecchini”: si occupano cioè di denigrare, silenziare, screditare coloro che cercano di porsi fuori dal pensiero unico e dalla narrazione mainstream.

Oggi è inutile andare in televisione a parlare di tematiche “scomode” perché si finisce semplicemente per essere ridicolizzati. Il modus agendi di questi conduttori (e degli autori) serve semplicemente ad ancorare nell'opinione pubblica gli slogan della propaganda, a fare terrorismo su alcune tematiche e a spostare l’attenzione dalle tematiche “intoccabili”.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Punterei su meritocrazia e contenuti culturali di livello. Da un punto di vista prettamente commerciale, la svecchierei: dai talk show ai telegiornali (soprattutto quelli regionali) è un modo vecchio e noioso di fare TV, sono pochi i programmi che riescono a strizzare l’occhio anche a i giovani. Si deve anche essere più presenti sul web: la rete rappresenta la sfida maggiore per la televisione oggi.

La RAI dovrebbe fare informazione in modo più capillare e immediato anche su internet e arrivare con i programmi ovunque, dal tablet ai cellulari, in modo più semplice e diretto. Dovrebbe però mantenere la qualità dei contenuti audiovisivi (dalle riprese al montaggio) che invece mancano su altri canali.

Più in generale vorrei una RAI con meno raccomandati e più persone capaci e motivate (ce ne sono, ne conosco molte che però si trovano a combattere con i baroni dell’informazione o i dinosauri che si aggirano da decenni nell'azienda). Vorrei un servizio pubblico pluralista in grado di offrire programmi culturali e approfondimenti interessanti, documentari, inchieste giornalistiche e dibattiti pacati in cui non venga anteposta la spettacolarizzazione (i litigi, le urla, il gossip) al contenuto.

Alcuni ospiti/tuttologi che vengono invitati (chiedetevi perché sono sempre gli stessi!) per creare tensione e caos in studio andrebbero evitati. E soprattutto, basta reality: sono l’esaltazione della mediocrità. Credo si possa tornare a offrire un servizio pubblico obiettivo, leale, di buon gusto e di livello ma per farlo ci vogliono anni e ci vogliono persone che ci credano e siano pronte a rimboccarsi le maniche, andando incontro a guerre intestine, bracci di ferro e reazioni scomposte da parte di quel vecchio sistema che non vuole certo abbandonare la postazione che così a lungo è riuscito a conservare.

LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: ENRICA PERUCCHIETTI LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: ENRICA PERUCCHIETTI Reviewed by Polisemantica on martedì, dicembre 04, 2018 Rating: 5

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