LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: PAOLO ERCOLANI


Nuovo appuntamento a "5 domande",  la serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.

Oggi risponde alle 5 domande Paolo Ercolani, filosofo, scrittore e saggista. Docente dell'Università di Urbino «Carlo Bo»,  ha scritto  per varie testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «il manifesto» e «MicroMega» e ha collaborato con il canale filosofia di Rai Educational.



Cura il blog dell' Espresso «L'urto del pensiero» e collabora con il canale filosofia di Rai Educational. È fondatore e membro del comitato scientifico dell'Osservatorio filosofico (www.filosofiainmovimento.it). E' autore di varie pubblicazioni tra cui: "L'ultimo Dio. Internet, il mercato e la religione stanno costruendo una società post-umana" e "Qualcuno era italiano. Dal disastro politico all'utopia della rete".



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?

     L'unico dato certo è che i nuovi partiti al governo si sono spartiti, come peraltro avevano fatti i loro predecessori, le poltrone del comando. Almeno la I Repubblica, con i tre canali Rai divisi fra democristiani, socialisti e comunisti, garantiva una pluralità di offerte.

Da una decina di anni a questa parte, invece, chi vince prende tutto. Ma non è tanto questo il problema, quanto il fatto che non si profilano all'orizzonte riforme disposte a incidere sul dato in assoluto più sconfortante: la qualità pessima della programmazione, sottomessa alle logiche del gossip, del chiacchiericcio, dell'audience a tutti i costi, degli ospiti sempre uguali.

L'imperativo categorico del profitto, la logica quantitativa degli ascolti e l'incapacità di elaborare idee nuove per programmi che lascino un segno culturale, salvo rarissime eccezioni costituisce la cifra portante di una Rai che ormai è stata ridotta a "disservizio pubblico".

Non dico che la Tv pubblica, come anche quella in generale, debba svolgere un ruolo pedagogico. Però non c'è dubbio che oggi stia svolgendo un ben preciso ruolo di degradazione del discorso pubblico, di lobotomizzazione del pubblico e di omologazione piegata alle logiche del mercato e di uno star-system ego-riferito e scarsamente professionale.

Non è certo in Rai, al momento, che si percepisce insomma il governo del cambiamento.



L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

    Non esiste a mio modo di vedere una cosa come la gestione obiettiva dei telegiornali. Cosa vuol dire essere obiettivi, chi può davvero prescindere del tutto dal proprio punto di vista nel dare una notizia o nel costruire la scaletta di un telegiornale?

Anche la veridicità è un concetto fumoso e buono per facili propagande. Il pluralismo, invece, sarebbe garanzia quantomeno della compresenza di diverse posizioni, diversi modi di intendere le notizie e molteplici modalità di conseguire la "verità".

Per le ragioni che abbiamo detto sopra, proprio il pluralismo risulta essere ciò che si è voluto eliminare, e non solo con questo governo. In un contesto tale, paradossalmente intrattenimento e fiction diventano l'unico motivo per guardare una televisione di questo genere.

Cosa che la dice lunga sul livello medio dell'opinione pubblica che si sta costituendo.



L'aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

   La cultura in televisione si può fare e bene. Anche in quella generalista. Nelle rare occasioni in cui ciò è avvenuto, tali tentativi sono stati anche premiati dagli ascolti. Ma purtroppo stiamo parlando di un settore sempre più disprezzato e sminuito.

Del resto, tanto il potere finanziario quanto quello politico hanno interesse a che il Pubblico non solo sia incapace a cogliere elementi di verità, ma che ne risulti perfino disinteressato. Un'opinione pubblica mediamente disinteressata, ignorante e facile da manovrare è ciò che interessa tanto a chi deve vendere prodotti commerciali tanto a chi è in cerca di consenso politico.

Da questo punto di vista, il nuovo governo non sembra intenzionato ad apportare alcun miglioramento culturale nella televisione italiana (e non solo nella Tv). Anche perché i due partiti che lo compongono devono molto del loro successo proprio a quel Pubblico mediamente pauperizzato nelle sue facoltà cognitive e privato di quegli strumenti culturali con cui cogliere gli errori di chi lo governa.

La cultura e il sapere sono strumenti che formano teste autonome e critiche. Esattamente ciò che chi controlla le stanze dei bottoni vede come il fumo negli occhi.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

Quasi 25 anni il filosofo Karl Popper propose una "patente" per fare la tv. Non potevi lavorare in televisione se non mostravi di possedere certe competenze, compreso il senso dell'etica, della responsabilità e della deontologia verso il pubblico.

Quell'idea rimase lettera morta, e oggi il livello infimo della gran parte della televisione è sotto gli occhi di tutti.

Non è un'esclusiva della Tv, ci mancherebbe, ma vi sono pochi dubbi sul fatto che proprio lì si concentri gran parte di quella "mediocrazia" di cui oggi parla il filosofo canadese Alain Deneault.

In pochi altri posti come nella Tv si lavora perché sei figlio di, raccomandato da, vicino a quel partito o movimento etc..

Il fil rouge che unisce tutto e tutti è l'assoluta genuflessione al sistema commerciale: bisogna vendere gli spazi pubblicitari. L'audience è l'unica stella cometa, a cui sacrificare ogni cosa. A cominciare dal rispetto della verità, della dignità dell'uomo e della salvaguardia di un Pubblico a cui viene propinata perlopiù immondizia culturale.

Magari fosse una questione di tecniche più o meno subliminali, come ai tempi de "I persuasori occulti" di Vance Packard. Oggigiorno non v'è alcun bisogno di ricorrere a strategie comunicative tanto sottili. La filosofia e i contenuti della televisione sono palesemente ispirati alla logica commerciale: se fai audience e produci soldi vai bene.

Altrimenti sparisci. Lo sanno tutti quelli che vi lavorano, e si adeguano in nome di quel fardello antico e inevitabile che si chiama "pagnotta".

Occorrerebbe una rivoluzione culturale da realizzarsi a molteplici livelli, e la televisione rappresenta soltanto uno di questi livelli.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Non ho competenze tali da poter decidere da solo, per di più in merito a un obiettivo tanto alto. Da filosofo posso soltanto dire che va modificata l'impostazione di fondo.

La logica quantitativa deve essere sostituita da quella qualitativa, e ciò soprattutto nelle reti del cosiddetto servizio pubblico. Altrimenti che servizio pubblico è? Perché pagare il canone?

A partire dalla stella cometa della qualità occorrerebbe ridisegnare tutta la programmazione, eliminando i programmi trash, il pettegolezzo e in generale tutte quelle trasmissioni che usano la cronaca e l'essere umano per creare scalpore e ottenere facili ascolti.

Senza contare il dato più rilevante: tornare ai professionisti della Tv. Quelli in grado di scrivere programmi e trasmissioni originali, senza riprodurre i format della televisione americana, mediamente la più barbara e volgare del mondo.

Un governo del cambiamento dovrebbe utilizzare il servizio pubblico televisivo per questi scopi. Ma nessun cambiamento, come dice la parola stessa, può prescindere da un cambio delle menti.

E le "menti" che vediamo occupare i posti di comando del potere politico, oggi come nelle scorse legislature, sono lo specchio più triste e al tempo stesso fedele di un popolo mediamente imbarbarito anche da un sistema mediatico mediamente rozzo e votato al profitto.

Ditemi voi se non si tratta di una situazione "ambientale" per la quale i meteorologi parlerebbero di tempesta perfetta in corso...
LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: PAOLO ERCOLANI LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: PAOLO ERCOLANI Reviewed by Polisemantica on martedì, dicembre 11, 2018 Rating: 5

Nessun commento:

Powered by Blogger.