Piero della Francesca – Simbologia dei Duchi di Urbino Federico da Montefeltro e Battista Sforza

 


Fra i più celebri ritratti del Rinascimento italiano, il dittico dipinto da Piero della Francesca raffigura i signori di Urbino, Federico da Montefeltro e sua moglie Battista Sforza. 

Già esposto nella sala delle Udienze di palazzo Ducale di Urbino, entrò nelle collezioni dei Della Rovere e, con l'estinzione della casata, pervennero a Firenze nel 1631 con l'eredità di Vittoria della Rovere, ultima discendente, maritata a Ferdinando II de' Medici. 

Dalle collezioni granducali confluirono poi naturalmente alle Regie Gallerie nel 1773, divenute gli Uffizi. 

Col tempo si era completamente persa la fama del dipinto, tanto che veniva ormai indicato come ritratto di Petrarca e Laura.

Nell'ambito dei codici mimetici, in accordo con la tradizione quattrocentesca, ispirata alla numismatica antica, le due figure sono rappresentate di profilo, taglio che garantiva una notevole verosimiglianza e precisione nella resa dei particolari, senza che trasparissero gli stati d’animo: i duchi di Urbino appaiono infatti immuni da turbamenti e emozioni. 

Per quanto riguarda le categorie topologiche I coniugi sono affrontati e l’unità spaziale è suggerita dalla luce e dalla continuità del paesaggio collinare sullo sfondo: il paesaggio marchigiano su cui i Montefeltro regnavano. 

Spicca il contrasto cromatico fra l’incarnato abbronzato di Federico e quello chiarissimo di Battista Sforza, pallore che, oltre a rispettare le convenzioni estetiche in voga nel Rinascimento, potrebbe alludere alla precoce scomparsa della duchessa, morta giovanissima nel 1472. 

Il ritratto della duchessa in pendant con quello del duca Federico risale al periodo in cui Piero presta servizio alla corte di Urbino, negli anni ‘60 del Quattrocento. 

Battista Sforza

Nei codici dell'abbigliamento, la resa lenticolare dei gioielli di Battista, prova inequivocabile della vicinanza del pittore all'arte fiamminga, permette di individuarne agevolmente forme e materiali.

L’acconciatura è impreziosita da una gioia centrale, un rubino circondato di perle, e da una laterale con uno zaffiro à cabochon, un diamante a tavola e un altro rubino. 

Il collare è composto da due file di perle che includono una sequenza di castoni smaltati di zaffiri e rubini alternati; ad esso si aggiunge una catena d’oro alla quale è appeso un grande pendente gemmato. 

Il rubino centrale, quintessenza del fuoco nella letteratura lapidaria, è come il fuoco simbolo di amore e carità, virtù che ritornano sotto forma di allegoria fra le figure femminili attorno alla duchessa in trionfo sul verso del ritratto. 

L’idea che le gemme come concentrazione di luce e colore fossero simboli di virtù è di origine medievale ma informa anche la pittura rinascimentale. 

Sono il colore e la luce, espressione di divina luminosità, le caratteristiche che più si prestano alla lettura allegorica degli esegeti biblici: da Isidoro di Siviglia a Rabano Mauro, fino a Ugo da San Vittore.

Il ritratto di Federico è invece più naturalistico: la sua figura è possente, incorniciata dal forte rosso della veste e della berretta, che isola il profilo, mentre l'ispida calotta dei capelli accentua gli effetti di massa volumetrica. 

Federico da Montefeltro

I capelli sono irsuti, lo sguardo fiero e lontano. 

Il naso adunco e rotto era una cicatrice ottenuta durante un torneo in cui aveva perduto anche l'occhio destro: per questo si faceva sempre ritrarre di profilo sinistro. 

La pelle è dipinta nei minimi particolari con distaccata oggettività, dalle rughe e ai piccoli nei, riprendendo i modi dell'arte fiamminga. 

La corte di Federico dopotutto proprio negli anni sessanta del Quattrocento viveva l'apice del suo splendore, con artisti italiani e fiamminghi che lavoravano fianco a fianco influenzandosi reciprocamente.

Sul retro delle tavole, i duchi sono effigiati mentre vengono portati in trionfo su carri, accompagnati dalla Virtù cristiane; le iscrizioni latine inneggiano ai valori morali della coppia. 

I Trionfi dei Duchi di Urbino

Con le prosopopee della Carità e la Fede ben riconoscibili assise sul carro, vi sono la Castità, con una veste bianca, e la Temperanza, in celeste/grigio, una sequenza diversa dalla triade delle Virtù teologali che mostra l’intenzione di sottrarre il ritratto al cliché celebrativo.

Trionfo di Battista Sforza

Le gemme che impreziosiscono i gioielli della Duchessa ripetono con il loro simbolismo le Virtù raffigurate nel suo Trionfo sull'altro lato del ritratto: se le perle, infatti, con il loro puro candore corrispondo alla Castità, alla modestia alludono gli zaffiri, non a caso del colore del manto della Vergine, emblemi degli uomini saggi che pur rivolgendosi al cielo per trarne ispirazione rimangono con i piedi per terra, come ci spiega Sant'Ambrogio. 

Il piccolo diamante tra i capelli, gemma che riluce nelle tenebre e resiste al ferro e al fuoco, rimanda verosimilmente alla fede, in accordo con l’esegeta Ugo da San Vittore. 

Nella scena con il Trionfo della Duchessa colpisce l’assenza della Speranza fra le virtù e di conseguenza lo smeraldo, sua gemma – simbolo, fra le gemme dei suoi monili. 

Un amorino guida due unicorni, simbolo di castità. 

L'iscrizione recita: "QVE MODVM REBVS TENVIT SECVNDIS CONIVGIS MAGNI DECORATA RERVM LAVDE GESTARVM VOLITAT PER ORA CVNCTA VIRORVM" (Colei che mantenne la moderazione nelle circostanze favorevoli vola su tutte le bocche degli uomini adorna della lode per le gesta del grande marito).

Le iscrizioni celebrative sono pienamente autografe di Piero, come ha evidenziato Clark confrontando il carattere usato con quello delle firme su altri dipinti.

Federico sul carro trionfale è invece attorniato dalla serie canonica delle prosopopee delle Virtù cardinali: Giustizia, Prudenza, Fortezza e Temperanza. 

Trionfo di Federico da Montefeltro

La Giustizia è frontale, con spada e bilancia. 

La Prudenza è di profilo, con lo specchio.

La Fortezza è con la colonna spezzata. 

E la Temperanza è raffigurata di spalle. 

Il dato potrebbe indicare come la Speranza sia morta con la protagonista nel 1472 nel soddisfare la speranza del duca di avere un erede. 

Questa indicazione confermerebbe la teoria ormai accettata che il ritratto sia stato eseguito dopo la morte di Battista Sforza.

Un amorino poi guida i cavalli, anche se è chiaro come l'ordine pervenga da Federico stesso, che, vestito dell'armatura, impugna il bastone del comando, evidenziato dal prolungamento della linea orizzontale tramite una strada nello sfondo. 

Nel trionfo di Federico l'iscrizione in lettere capitali romane esalta le virtù del sovrano: 

"CLARVS INSIGNI VEHITVR TRIVMPHO QVEM PAREM SVMMIS DVCIBVS PERHENNIS FAMA VIRTVTVM CELEBRAT DECENTER SCEPTRA TENENTEM (È portato in insigne trionfo quell'illustre che la fama perenne delle sue virtù celebra degnamente come reggitor di scettro pari ai sommi condottieri).

La presenza delle pitture sul verso induce a ritenere che i due dipinti, ora inseriti in una cornice moderna, potessero costituire in origine un dittico con cerniera, da aprirsi come un libro.

Il paesaggio è di chiara derivazione fiamminga, dove la foschia, in una prospettiva aerea schiarisce le cose più lontane e il cielo sfuma verso l'orizzonte, come all'alba. 

È stato notato come lo scenario si collegabile a 360° unendo quello di Federico a quello del trionfo della moglie al ritratto di Battista ed al ritratto del marito, con alcune imprecisioni per avere anche corrispondenze interne tra i due ritratti e i due trionfi. 

L'unione ipotetica dei pannelli


Esso corrisponderebbe approssimativamente alla vista panoramica dalla torre occidentale del Palazzo Ducale di Urbino, con le colline punteggiate di torri e castelli tra fertili vallate, dove si vedono i campi arati, e un bacino, corrispondente allo sbocco sul mare, dove transitano imbarcazioni industriose, dando un'idea delle vivaci attività economiche del Ducato.

Opera tra le più famose di Piero della Francesca, il doppio ritratto si inserisce nell'ambito di consolidato rapporto fra il pittore e i duchi di Montefeltro, alla cui corte Piero soggiornò ripetutamente, trovandosi a contatto con un ambiente colto, raffinato, che in breve tempo divenne uno dei più importanti centri culturali e artistici italiani. 

Il maestro concilia la rigorosa impostazione prospettica appresa durante la formazione fiorentina con la lenticolare rappresentazione della natura propria della pittura fiamminga, raggiungendo risultati di straordinaria e ineguagliata originalità.

Ecco il video con l'analisi:

Piero della Francesca – Simbologia dei Duchi di Urbino Federico da Montefeltro e Battista Sforza Piero della Francesca – Simbologia dei Duchi di Urbino Federico da Montefeltro e Battista Sforza Reviewed by Ars Europa on mercoledì, dicembre 02, 2020 Rating: 5

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