LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: CLAUDIO MESSORA



Prosegue la nostra rubrica "5 domande", serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.



Oggi risponde Claudio Messora, noto giornalista indipendente, ex responsabile comunicazione M5S Senato e Parlamento Europeo, vincitore del  XXXI Premio Ischia Internazionale del Giornalismo.

Cura e dirige il sito ByoBlu, videoblog di informazione libera, uno tra i primissimi blog di politica e di attualità italiana fin dal 2007.



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?

Abbiamo avuto per anni presidenti del servizio pubblico radiotelevisivo, il principale organo di informazione del Paese, che frequentavano e addirittura presiedevano think tank come la Commissione Trilaterale, un’organizzazione privata che dichiaratamente svolge il ruolo di fucina di ministri e governanti e le cui riunioni si tengono a porte chiuse.

Da lì sono usciti innumerevoli personaggi che, saltando il regolare processo democratico di selezione, hanno ricoperto importanti cariche pubbliche: uno su tutti, ad esempio, Mario Monti, che della Commissione Trilaterale era addirittura presidente. Non si può presiedere al delicato compito di essere garante dell’informazione dei cittadini, difendendo nel contempo gli interessi privati di una élite organizzata.

La nomina di Marcello Foa alla carica di Presidente della Rai è un segnale di discontinuità nei confronti di queste pratiche scorrette, e infatti è stata avversata ferocemente dalla vecchia partitocrazia. È un atto simbolico, perché un presidente da solo non può fare molto, ma decisamente importante, perché è un segnale preciso di cambiamento.

Perché questo si realizzi estensivamente, tuttavia, sarà necessario un lungo periodo di tempo, affinché i gangli nervosi e tutte le ramificazioni di un’azienda che conta migliaia e migliaia di dipendenti possano recepire nuovi obiettivi e un nuovo modello attraverso il quale relazionarsi al loro compito, che è quello di facilitare le aspirazioni al progresso materiale e spirituale della società italiana, e non di assecondare gli interessi del potere.



L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

La Rai non dovrebbe competere con le televisioni private, inseguendole sul terreno dello share o su quello dei ricavi pubblicitari.

La Rai dovrebbe fare informazione corretta, pluralista e obiettiva, contribuire all’arricchimento culturale dei cittadini e intrattenerli in modo intelligente, favorendo nuovi modelli e stili di vita che mettano al centro lo sviluppo della persona umana in luogo dell’abbruttimento e dell’appiattimento sui valori del mercato dei consumi di massa.

Credo in un ruolo – perché no – educativo del servizio pubblico, rispetto a una modernità che disinveste nella crescita personale e disincentiva la formazione di una consapevolezza critica e di una autocoscienza, fattori fondamentali per una democrazia sostanziale e autenticamente rappresentativa.



L'aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

È proprio questo il punto. Chi non conosce la storia non conosce il passato, e chi non conosce il passato non controlla il presente e non concorre a determinare un futuro migliore.

Chi non è stimolato a pensare alle questioni fondamentali dell’esistenza vive senza aneliti e non è in grado di pretendere condizioni migliori rispetto a quelle della mera sopravvivenza. La scarsa istruzione del popolo è funzionale al mantenimento del potere.

Del resto, fu proprio Mario Monti a paragonare una democrazia alle greggi che devono eseguire gli ordini impartiti dal pastore, e fu proprio la sua Commissione Trilaterale a postulare come requisito base della forma di governo democratica la necessità che la gran parte della popolazione resti letteralmente “in apnea”, cioè ai margini del processo decisionale.

La diffusione del sapere, della cultura, delle riflessioni sui grandi temi fondamentali che, in ultima istanza, hanno tutti a che fare con il nostro destino, con i nostri diritti, con la nostra libertà, è cruciale per passare da una democrazia di facciata a una democrazia di sostanza.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

La televisione, come è pensata attualmente, è essa stessa una gigantesca fake news. Per definizione, si tratta di una rappresentazione estremamente parziale della realtà, per nulla obiettiva e dipendente dall’esclusiva volontà di chi la disegna. Le faccio un esempio: ogni volta che si sceglie di puntare una telecamera in una direzione e di ignorare tutto quello che c’è intorno (e che rappresenta la maggior parte del mondo reale), ogni volta che si monta un servizio e perfino ogni volta che si scrive una scaletta, cioè gli argomenti di cui parlare e l’ordine nel quale affrontarli, si opera una selezione arbitraria sui fatti, sui tempi e sulle idee che stravolge la realtà.

Se vuole, è quello che la fisica ha dimostrato con il Principio di Heisemberg: l’osservatore cambia sempre ciò che osserva, e il risultato è che non vi è conoscenza che possa dirsi deterministica. Per questo, tutta la narrazione delle cosiddette “fake news” è paradossale e chiaramente strumentale.

Perfino il più corretto dei telegiornali deforma i fatti di cui parla, in mille modi diversi, a cominciare dalla sintesi personale di una notizia, che viene filtrata dalla sensibilità del giornalista, da quella del montatore (le immagini usate in un servizio fanno parte della narrazione e sono per certi versi più potenti delle parole), perfino da quella del consulente musicale che seleziona il commento sonoro, scegliendo brani che possano indurre stati d’animo molto diversi e che non possono essere soggetti in modo alcuno a regolamentazioni da parte di nessun organismo di controllo.

Non parliamo poi della sequenza delle inquadrature sugli ospiti, in grado già da sola di sottolineare un consenso o un dissenso rispetto alle idee espresse in una trasmissione. Per questo sono convinto che la pretesa di equidistanza e di imparzialità delle grandi industrie di news è un inganno. Meglio sarebbe produrre tante trasmissioni dichiaratamente di parte e favorire il libero confronto.

La verità assoluta, che non esiste, è un asintoto al quale ci si può avvicinare indefinitamente solo per iterazioni progressive, cioè attraverso il vaglio continuo di idee diverse e contrapposte. Meglio tanti organi di informazione connotati dai variegati colori dell’arcobaleno, che una unica luce bianca che ha la pretesa di riassumerli tutti, ma che in definitiva si chiama Pensiero Unico.

Per il potere è più facile controllare una sola idea, che la complessità che deriva dalla ricchezza delle diverse sensibilità individuali.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Cercherei di dare rappresentanza a tutte le opinioni, di facilitare e stimolare tutti i confronti, mettendo a disposizione del pubblico tutte le fonti di informazione, lasciando che sia la forza delle idee a emergere, e non la forza economica o la forza delle corporazioni.

Per questo, ne sono consapevole, nessuno mi offrirà mai un incarico del genere.

Cercherò allora di realizzare questo modello con la mia nuova Netflix dell’informazione libera e indipendente, un progetto che vedrà la luce nei prossimi mesi e attraverso il quale tenterò di mettere in pratica questi principi. Se avrà successo, e se il pubblico comprenderà che è necessario, avrò realizzato i miei obiettivi.
LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: CLAUDIO MESSORA LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: CLAUDIO MESSORA Reviewed by Polisemantica on martedì, novembre 27, 2018 Rating: 5

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