FRANKENWEENIE. LA POESIA DELLA NO STOP MOTION


'Franken' è un nomignolo (quindi analogia) e una citazione di 'Frankenstein', mentre il termine  'weenie' in americano connota il termine "miserabile".

Tim Burton, il maestro riconosciuto del gothic, realizza quello che all'inizio della sua carriera cinematografica non potè fare per questioni di budget: un lungometraggio di animazione in stop-motion, in bianco e nero.

Per il regista la stop-motion è tecnica amata e sperimentata già per "La sposa cadavere" (2005) e  per "The Nightmare Before Christmas" (1993).

Sicuramente è la modalità comunicativa che meglio esprime le sue doti: l'assenza di pixel e keyframe digitali restituisce la poesia analogica ai suoi personaggi realizzati a mano e fotografati a 'passo uno'.

Tutta la vicenda ruota intorno a un ossimoro, ovvero il cane  morto-vivente.

Con questa mirabile tecnica Burton non si snatura e resta ancorato all'emozione pura e alla poesia, vero filo conduttore della sua intera produzione.
FRANKENWEENIE. LA POESIA DELLA NO STOP MOTION  FRANKENWEENIE. LA POESIA DELLA NO STOP MOTION Reviewed by Polisemantica on giovedì, settembre 14, 2017 Rating: 5

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